AI-Powered Loyalty, l’intelligenza artificiale riscrive le regole della fidelizzazione

I clienti si aspettano sempre più un’esperienza personalizzata e le aziende hanno una crescente necessità di conoscere in modo approfondito i comportamenti, le abitudini e le preferenze dei clienti, per poter proporre le offerte più adatte a ciascuno. Tutto questo è possibile grazie a una Customer Data Platform, specialmente ora che è supportata dall’intelligenza artificiale. Grazie agli algoritmi predittivi, questi strumenti riescono a guidare le scelte e le strategie aziendali,  e con le capacità generative aiutano a interagire con  messaggi personalizzati.

Insieme a Leonardo Pavanello, Digital Business Consulting Leader e Sara Barbon, Digital Business Consulting, di Impresoft Engage, abbiamo approfondito l’argomento esplorando casi concreti, analizzando i passaggi giusti per avviare un progetto di engagement del cliente e comprendendo come ottimizzare le risorse già presenti in azienda.

Leonardo cosa è una Customer Data Platform, in che modo  aiuta ad avere una visione completa del cliente, e in cosa si differenzia da un CRM?

Partiamo dalla domanda: cos’è una data platform? È il punto di partenza per ogni strategia che voglia davvero mettere il cliente al centro. In parole semplici, una data platform è una piattaforma che ci permette di collezionare, unificare e organizzare dati provenienti da fonti molto diverse tra loro: CRM, e-commerce, social media, sistemi di cassa (POS), quindi anche tutto il mondo del retail fisico. Il grande vantaggio è che consente di mettere insieme tutte queste informazioni in un unico luogo, costruendo profili cliente unici e persistenti. In sostanza, è lo strumento che permette di avere una visione completa del cliente, superando la frammentazione dei dati e abilitando azioni più mirate ed efficaci.

Una delle domande più frequenti che mi sento fare è: ma in cosa si differenzia una CDP, cioè una Customer Data Platform, da un CRM? È una distinzione importante. Il CRM è uno strumento pensato per raccogliere informazioni sui clienti con l’obiettivo di gestire il processo di vendita. È utile, certo, ma ha un focus specifico: segue il cliente lungo il funnel commerciale, dal primo contatto fino all’acquisto. La CDP, invece, ha una portata molto più ampia. Può contenere anche dati legati alla vendita, ma non si limita a questo. Centralizza tutti i dati che riguardano il cliente, comprese le interazioni con il brand, i comportamenti online, le risposte alle campagne di marketing e molto altro. È pensata per offrire una conoscenza profonda e trasversale del cliente, non solo per accompagnarlo nel processo d’acquisto.

Va detto che il termine CRM è usato in modo molto diverso a seconda del contesto. Nel mondo consumer, ad esempio, viene utilizzato per gestire lead, attività di nurturing e conversione. Nel B2B, invece, può supportare processi di vendita molto più complessi, come nel caso del real estate o di settori verticali come il finance o il wellness. Esistono CRM altamente specializzati, con funzionalità pensate per specifiche esigenze di mercato. Ma, nonostante questa varietà, la distinzione rimane: il CRM si concentra sulla relazione commerciale, la CDP si focalizza sulla conoscenza a 360 gradi del cliente.

Ed è proprio questa visione completa che rende la CDP così preziosa, soprattutto oggi che possiamo integrarla con l’intelligenza artificiale. L’IA rappresenta un vero e proprio salto di qualità: permette di amplificare tutte le potenzialità della CDP, trasformandola in una piattaforma ancora più potente. Non ci si limita più a raccogliere e organizzare i dati, ma si possono fare analisi predittive e prescrittive. Per esempio, si può identificare con maggiore precisione quali clienti hanno una probabilità alta di abbandonare, e attivare in tempo azioni di retention personalizzate. Non solo: l’intelligenza artificiale consente anche di personalizzare l’esperienza utente in tempo reale, adattandola in base al comportamento e al canale utilizzato, che sia il sito web, un’app, un’email o un punto vendita. In questo modo l’esperienza diventa molto più rilevante per il cliente, e naturalmente più efficace per il brand. Perché  la differenza, oggi, si gioca proprio qui: nella capacità di conoscere, comprendere e anticipare il proprio cliente..

Silvia quale approccio si può adottare per ottenere i massimi benefici da uno strumento come quello che ci ha descritto Leonardo?

Approccio è senza dubbio una parola chiave. Spesso, infatti, il tema non è soltanto tecnologico. È prima di tutto una questione di visione, di come si decide di affrontare la progettazione e l’adozione di una CDP. Noi lo abbiamo capito chiaramente nel tempo, seguendo molti progetti e applicazioni concrete: il punto di partenza, il vero fulcro, non è la tecnologia ma l’approccio business. Ed è su questo che si gioca buona parte del successo di una strategia data-driven.

Ma cosa significa davvero avere un approccio business alla CDP? Vuol dire, innanzitutto, chiarirsi bene le idee su quali sono gli obiettivi. Dove vogliamo andare? Cosa vogliamo ottenere? Questo passaggio non può prescindere da una riflessione sul posizionamento attuale del brand e sulla nuova percezione che si vuole costruire attraverso il programma abilitato dalla CDP. Progettare il futuro significa anche confrontarsi con ciò che il brand ha comunicato fino ad oggi: serve quindi avere ben chiaro il punto di partenza, capire quali sono i messaggi già trasmessi, e individuare il gap da colmare. È un lavoro che richiede consapevolezza e visione.

Avere un approccio business, però, vuol dire anche — e soprattutto — non aspettare di avere raccolto tutti i dati per poi domandarsi: “E adesso cosa ci faccio?”. Bisogna fare il percorso opposto. Occorre chiedersi sin da subito quali use case si vogliono attivare, quali azioni concrete si vogliono mettere in campo. In altre parole, è fondamentale definire prima le tattiche operative, quelle che discendono dagli obiettivi strategici dell’azienda, per evitare di trovarsi in una fase avanzata del progetto — con i touchpoint già integrati e la CDP popolata di dati — senza però disporre delle informazioni giuste per attivare davvero i casi d’uso previsti. In mancanza di questi dati, si rischia di non riuscire a ricostruire la customer journey o, peggio, di non poter agire con logiche di attivazione e personalizzazione realmente efficaci.

Per questo il nostro consiglio è semplice: partire dagli obiettivi e ragionare fin da subito sugli use case. Facciamo un esempio concreto: immaginiamo un’azienda che ha rilevato un problema legato alla retention: sta perdendo clienti, e vuole intervenire. Bene, il primo passo è definire in modo chiaro l’obiettivo: migliorare la retention. A questo punto possiamo iniziare a immaginare quali azioni concrete mettere in campo. Una di queste potrebbe essere, ad esempio, il potenziamento del customer service. Come? Dotando gli operatori della possibilità di visualizzare tutte le interazioni che un determinato cliente ha avuto con il brand, su tutti i touchpoint disponibili. Pensiamo a cosa succede quando un cliente chiama il servizio clienti per segnalare un problema. Grazie alla CDP, l’operatore può sapere — in tempo reale — quali prodotti quel cliente ha messo di recente nella wishlist, cosa ha lasciato nel carrello, quali pagine del sito ha visitato più spesso, o qual è stato il suo ultimo acquisto in negozio, se ci sono punti vendita fisici. A partire da queste informazioni, è possibile offrire una risposta realmente personalizzata. Non solo: se si decide di offrire un compenso per l’inconveniente segnalato, come un coupon, si potrà renderlo davvero rilevante per quel cliente, magari riferito proprio a un prodotto per cui ha già mostrato interesse. Il punto, infatti, non è semplicemente “attivare un voucher”, ma proporre qualcosa che abbia valore reale per la persona che lo riceve. E per farlo serve conoscere il suo percorso, le sue preferenze, il suo comportamento.

Ecco perché è così importante partire dagli obiettivi e dai casi d’uso: ci permette di definire subito quali dati saranno necessari, e quindi indirizzare con chiarezza la nostra data strategy. Tornando all’esempio, sarà essenziale acquisire dati relativi alla navigazione web, alla wishlist, alle sessioni sul sito, alle interazioni in negozio, integrando magari i dati del POS. Così facendo, si raccolgono le informazioni giuste fin da subito, evitando di trovarsi bloccati in fase esecutiva perché manca proprio quel tassello che rende possibile l’attivazione di una determinata azione.

In sintesi, il vero approccio vincente a una CDP non parte dalla tecnologia, ma da una visione chiara del business: cosa vogliamo ottenere, quali azioni ci servono per arrivarci, e quali dati dobbiamo raccogliere per abilitarle. Solo così i dati diventano davvero leva strategica.

Ci racconti un progetto che avete seguito?

Parlando di Customer Data Platform, un tema che torna spesso è quello della segmentazione avanzata. È senza dubbio una delle attività più richieste dalle aziende: la possibilità di suddividere il proprio database in cluster dinamici, sempre aggiornati, e collegare queste segmentazioni ad azioni predittive. In altre parole, si vuole capire non solo chi è il cliente oggi, ma anche cosa potrebbe fare domani, a partire dai suoi comportamenti e dalle sue interazioni con il brand.

Un caso che seguiamo da diversi anni e che rappresenta bene questo approccio è quello di Thun, l’azienda altoatesina nota per i suoi prodotti di design. Con loro abbiamo accompagnato lo sviluppo di un programma di loyalty che oggi conta tra il milione e il milione e mezzo di iscritti: un progetto molto strutturato, che poggia su una doppia direttrice. Da un lato, esiste una formula freemium — le classiche tessere gratuite che permettono di accumulare punti e ottenere reward, come prodotti o esperienze legate al brand. Dall’altro lato, è stato introdotto un modello a pagamento, con tre formule di abbonamento annuale, pensate per rafforzare la relazione con i clienti più affezionati e costruire una vera community del brand.

Nel tempo, grazie alla CDP, siamo riusciti a implementare una segmentazione avanzata, arrivando a identificare una settantina di cluster principali secondo logiche RFM (recency, frequency, monetary value), ulteriormente arricchiti da sotto-cluster in base al tipo di tessera o abbonamento attivo. Ogni cliente viene così collocato in un gruppo che riflette i suoi comportamenti e la sua relazione con il brand. Questo ci consente di attivare suggerimenti personalizzati e proporre contenuti o prodotti rilevanti, sulla base delle interazioni precedenti, che avvengano online sul sito, nei punti vendita proprietari o anche nei corner presenti in strutture di terze parti.

Una caratteristica chiave di questa segmentazione è che è dinamica. Cosa significa? Che il cliente può passare da un cluster all’altro in tempo reale, in base ai suoi comportamenti più recenti. Se un cliente interagisce di più con il sito, visita uno store o cambia le sue abitudini di acquisto, il sistema lo ricolloca automaticamente nel cluster più adatto. Questo ci permette di adattare immediatamente l’esperienza che gli offriamo, senza aspettare fine mese o cicli di analisi manuali. È una logica che rende l’esperienza molto più coerente e reattiva.

Tutto ciò, naturalmente, ha un impatto anche sul fronte predittivo: conoscendo il comportamento attuale e il cluster di appartenenza, possiamo stimare con buona accuratezza i passi successivi del cliente. Questo ci consente di attivare reward più pertinenti e ingaggianti, costruiti su pattern reali e contestualizzati.

Ma non ci fermiamo alla sola segmentazione. Sempre con Thun, lavoriamo anche su aspetti legati all’ottimizzazione della customer journey. Grazie alla CDP, siamo in grado di proporre contenuti personalizzati e dinamici, inviando comunicazioni profilate che rispecchiano gli interessi e le azioni del singolo utente. Ad esempio, se un cliente effettua un acquisto in negozio, può ricevere quasi in tempo reale una comunicazione mirata, coerente con quanto appena comprato e con il suo storico di navigazione o di interazioni online. Quindi, se aveva messo in wishlist un certo prodotto o aveva esplorato una determinata sezione del sito, possiamo collegare questi segnali per proporre contenuti pertinenti, che rafforzano l’esperienza e la relazione con il brand.

La nostra esperienza, però, non si limita al mondo del design e del lifestyle. Lavoriamo anche con realtà del beauty retail, dove la diffusione capillare dei punti vendita rende cruciale una visione unificata del cliente, e con il mondo degli eventi culturali e sportivi. In questo contesto, la CDP ci permette di unire le informazioni derivanti dall’acquisto di abbonamenti o biglietti, dal comportamento in loco (come gli acquisti nei punti ristoro o nei negozi di merchandising), e di disegnare una mappa completa dell’esperienza all’interno dello stadio, del teatro o dell’arena.

Anche qui possiamo attivare azioni in tempo reale: ad esempio, se un cliente è presente a un evento e ha mostrato interesse per un certo tipo di prodotto, possiamo proporgli offerte o promozioni coerenti, evitando invece comunicazioni non rilevanti. Se, ad esempio, non ha mai effettuato acquisti nel punto ristoro, sarà meglio evitare di insistere con messaggi troppo spinti su quel tema. In questo modo, riusciamo a rispettare il cliente e a offrirgli un’esperienza personalizzata e sensata.

Questi sono solo alcuni esempi delle applicazioni concrete che una CDP può abilitare. E ogni caso che affrontiamo ci conferma che, quando si parte da un approccio business ben strutturato e si ha chiara la direzione strategica, la tecnologia diventa davvero uno strumento potente per costruire relazioni significative e durature.

A questo punto, la domanda che nasce spontanea è: qual è lo strumento che consente di realizzare le attività e gli scenari di cui abbiamo parlato finora? Leonardo  raccontaci meglio di cosa si tratta.

Tutto si basa su Milo, una piattaforma che nasce per orchestrare in modo intelligente e integrato tutte le attività di loyalty, marketing e customer management. Il suo nome sta proprio per Multichannel Intelligence, Loyalty Orchestrator, e racchiude in sé le funzionalità di una CDP, di un CRM e di una piattaforma di marketing automation. In pratica, unisce tutti gli ingredienti di cui abbiamo parlato finora in un’unica soluzione flessibile, scalabile e pensata per gestire end-to-end la relazione con il cliente.

Come vediamo nella figura, il flusso tipico di utilizzo di Milo inizia dalla subscription, cioè dalla registrazione del contatto. Questo primo passo può avvenire su diversi canali: un portale web, una form online, una postazione in store. L’importante è avere un punto d’ingresso che consenta di iniziare a raccogliere dati. Da lì, Milo inizia a collezionare tutte le interazioni che quel contatto avrà con i vari touchpoint del brand, unificando le informazioni in un unico profilo cliente. Questa capacità di raccogliere e centralizzare i dati è alla base di tutta la logica di personalizzazione e attivazione successiva.

Una volta raccolti i dati, Milo consente di effettuare una segmentazione avanzata, incrociando più dimensioni di analisi grazie all’integrazione dell’intelligenza artificiale. In base alle strategie di loyalty e marketing definite a monte, la piattaforma è in grado di orchestrare azioni su diversi canali: email, SMS, notifiche push, canali social, fino a eventuali comunicazioni in app. L’obiettivo è quello di attivare i canali più coerenti con le abitudini di interazione del singolo utente, in modo fluido e automatizzato.

Ma cos’è che rende davvero Milo diversa da altre piattaforme? Prima di tutto, il fatto che non nasce come prodotto di mercato, ma da un’esperienza diretta maturata in oltre dieci anni nel mondo del retail. Questo background ha permesso di svilupparla non come una piattaforma teorica, ma come una risposta concreta a esigenze reali. Uno degli elementi distintivi è sicuramente la flessibilità: Milo si adatta a stack tecnologici anche molto diversi, si integra facilmente con le fonti dati esistenti e si modella sulle specificità del brand.

Un altro punto di forza è il motore di loyalty che si è evoluto nel tempo, adattandosi ai cambiamenti del mercato e arricchendosi di nuove logiche e funzionalità. È una piattaforma in continua evoluzione, che cresce con le esigenze dei clienti e si adatta con facilità a contesti diversi, grazie alla sua struttura modulare e scalabile.

Tuttavia, come ricordava Silvia, per ottenere il massimo da una piattaforma come Milo serve un approccio strategico. La tecnologia da sola non basta: è fondamentale partire da una fase di consulenza che aiuti a definire obiettivi chiari, casi d’uso rilevanti e una roadmap sostenibile. In questo senso, Milo non si limita a “gestire” i dati, ma offre anche strumenti di monitoraggio, analisi e data visualization, diventando una vera fonte di insight continua. Un osservatorio permanente sul comportamento dei clienti, che permette di prendere decisioni più informate e tempestive.

In sintesi, Milo è molto più di una semplice CDP. È una piattaforma che nasce per abilitare strategie di relazione realmente customer-centriche, costruite sui dati, sull’intelligenza artificiale e sull’esperienza concreta di chi da anni lavora fianco a fianco con i brand per sviluppare programmi di loyalty e marketing avanzato.

Per completare la panoramica su Milo, possiamo dettagliare meglio l’intero processo che abbiamo appena descritto. Come si può vedere nella figura, il primo step del flusso è la gestione dei dati. Parliamo di una raccolta che avviene su moltissimi touchpoint, e qui abbiamo riportato solo alcune delle fonti principali — perché elencarle tutte sarebbe impossibile.

Tra i dati più rilevanti troviamo quelli legati ai comportamenti degli utenti, come ad esempio le interazioni via app, le transazioni sull’e-commerce, gli acquisti nei punti vendita fisici tramite POS, ma anche tutti quei segnali che arrivano da canali digitali come il sito web o la mobile app. Pensiamo anche ai social media, che aggiungono un ulteriore livello di complessità e ricchezza. La vera forza sta nel fatto che questi dati — che raccontano una journey sempre più articolata — vengono consolidati in un profilo unico per ciascun cliente. Naturalmente, affinché tutto questo abbia senso, è fondamentale una logica di identity resolution, cioè un sistema capace di riconoscere e unificare correttamente i dati riferiti alla stessa persona, anche quando provengono da fonti diverse.

Una volta raccolti e integrati, questi dati diventano la base per la parte forse più preziosa di tutto il sistema: quella degli insight. La CDP lavora infatti su dati di prima parte — quelli raccolti direttamente dal brand — ed è proprio questo che permette di creare modelli comportamentali affidabili, analisi profonde e personas reali, costruite su azioni concrete e non su semplici ipotesi di mercato. È una differenza sostanziale, perché consente di passare dall’intuizione alla conoscenza misurabile, abilitando logiche di inferenza e previsione estremamente efficaci.

Su questa base si innesta tutta la parte marketing, che come abbiamo già visto, può essere attivata in real time, con contenuti dinamici e azioni personalizzate distribuite su più canali. A seconda della piattaforma di marketing automation integrata, Milo consente di orchestrare la comunicazione in modo omnicanale, garantendo coerenza e rilevanza su email, SMS, notifiche push, social media e app.

Un altro elemento chiave, che rappresenta una delle anime più forti di Milo, è la gestione della loyalty. La piattaforma è stata progettata per supportare brand che operano anche su più mercati, con logiche differenziate per nazione, per brand o per tipologia di programma. Può gestire strategie molto sofisticate, multilivello, basate su punti, membership, abbonamenti, campagne speciali, logiche di gruppo e reward personalizzati. Tutto viene orchestrato in modo flessibile e modulare, adattandosi al tipo di relazione che si vuole costruire con il cliente.

Infine, c’è la parte di delivery, ovvero l’erogazione vera e propria dei contenuti e delle azioni pianificate. Anche in questo caso, Milo permette di selezionare e orchestrare i canali migliori per ciascun target, sulla base dei dati di interazione disponibili. Il tutto è supportato da un layer di intelligenza artificiale che può agire su più livelli: dalla personalizzazione del tono di voce alla scelta dei contenuti, fino alle raccomandazioni predittive legate al catalogo prodotti — particolarmente utile per brand con un’offerta ampia e diversificata.

Come mostra l’immagine con alcuni numeri chiave, Milo è una piattaforma pensata per gestire la complessità in modo scalabile. Attualmente, ad esempio, gestisce oltre un milione e mezzo di contatti attivi, supportando programmi loyalty che non solo coinvolgono ampie community, ma che generano anche nuovi flussi di revenue, come nel caso della loyalty a pagamento.

Le azioni orchestrate dalla piattaforma sono oltre otto milioni, a conferma della sua capacità di sostenere un elevato volume operativo. E per tenere tutto sotto controllo, Milo integra anche una componente di business intelligence con dashboard e strumenti di monitoraggio avanzato, come si può vedere da alcuni screenshot inclusi nella presentazione.

Perché sì, come spesso accade, il successo sta anche nel saper misurare e leggere ciò che si fa. La loyalty non è mai un progetto “una tantum”, ma un sistema vivo, in continua evoluzione. Ogni anno si riparte, si affina, si rilancia. L’engagement va nutrito, migliorato, ripensato. E l’analisi dei dati diventa non solo un’attività di controllo, ma un vero e proprio motore di apprendimento continuo. Un learning by doing che permette di migliorare le azioni di marketing, aumentare la conoscenza del cliente e far crescere, con coerenza, la relazione.

È qui che Milo esprime tutto il suo valore: unendo tecnologia, esperienza e strategia in un’unica piattaforma capace di dare forma a progetti di loyalty che evolvono insieme al brand.

All’inizio abbiamo parlato di approccio al progetto, in termini ancora più concreti Silvia quali sono i passaggi da effettuare?

Per tradurre tutto questo in pratica servono metodo, visione e un approccio strutturato. E proprio per questo, nel corso del tempo, abbiamo elaborato uno strumento che ci aiuta a semplificare la complessità: il CDP Strategy Canvas. Si tratta di un framework visivo che utilizziamo per progettare e accompagnare i progetti CDP.

La Customer Data Platform, infatti, è un tema articolato, che non riguarda solo la tecnologia. Anzi, è un progetto trasversale per natura, che coinvolge diverse funzioni aziendali: IT, marketing, service, comunicazione. Non può — e non deve — essere gestito solo da un reparto. È un’infrastruttura strategica che ha bisogno di una visione sistemica e condivisa.

Il nostro canvas ci aiuta a mettere ordine, a dare priorità, a evitare l’errore — frequente — di partire subito con l’integrazione di ogni tipo di touchpoint e con la raccolta massiva di dati, senza sapere bene cosa vogliamo farne. Il canvas, invece, ci guida passo dopo passo, aiutandoci a costruire una roadmap coerente, sostenibile e soprattutto finalizzata all’attivazione di use case concreti.

Nel modello che utilizziamo, abbiamo individuato sei ambiti chiave, o building block, che rappresentano la struttura portante di qualsiasi progetto CDP ben impostato.

Il primo riguarda la definizione degli obiettivi di business. In questa fase iniziale è fondamentale coinvolgere tutte le funzioni aziendali per chiarire aspettative e risultati attesi. Solo così la CDP può diventare davvero uno strumento di orchestrazione strategica, e non un silos di dati. Qui iniziamo anche a progettare le prime journey, identificando gli use case che vogliamo rendere operativi fin da subito.

Il secondo step riguarda i dati: quali ci servono? In funzione degli use case, individuiamo i dati strategici da raccogliere e iniziamo a costruire un magazzino informativo coerente. Non si tratta di raccogliere “tutto”, ma di raccogliere ciò che è utile.

Terzo punto: la segmentazione. Una volta impostato il dato, è il momento di caratterizzare l’audience. Definiamo i cluster, li rendiamo dinamici e attivi, identifichiamo i gruppi a più alta propensione all’acquisto o all’interazione, e su questi possiamo avviare azioni specifiche: nurturing, contenuti dedicati, programmi personalizzati.

Il quarto ambito riguarda i canali da attivare. Non parliamo solo di email o marketing automation, ma anche di integrazione del sito web per contenuti dinamici, CRM per la forza vendite, strumenti di clienteling in store o persino applicazioni B2B per coordinare agenti e intermediari. Ogni touchpoint ha un ruolo e va integrato nel disegno complessivo della CDP.

Il quinto step ci porta a parlare di priorità. Non si può fare tutto subito, ed è giusto così. È importante dare un ordine di attivazione agli use case: partire da quelli che possono portare un ritorno rapido, per generare entusiasmo interno, creare valore tangibile e costruire la cultura del dato passo dopo passo. Il progetto CDP è per natura pluriennale, ma deve anche saper generare valore fin dalle prime fasi.

Infine, il sesto ambito è dedicato al monitoraggio, attraverso dashboard pensate per utenti diversi. Non esiste una dashboard unica che vada bene per tutti. Serve costruire cruscotti personalizzati: per i punti vendita, per il marketing, per il servizio clienti. E servono KPI che ci permettano di misurare l’efficacia delle azioni, valutare l’andamento dei cluster e correggere la rotta, se necessario.

Come abbiamo già detto, la strategia non si disegna una volta sola: va rivista, aggiornata, riallineata. La dashboard è lo strumento che tiene insieme visione e operatività. È ciò che ci consente di mantenere il focus sugli obiettivi, ma anche di garantire che la delivery tecnica rimanga coerente con le finalità strategiche.

Questo è, in sintesi, il nostro framework. Ogni building block può essere approfondito e sviluppato in sotto-tematiche più operative. Ma ciò che conta davvero è la visione d’insieme: i sei blocchi sono interconnessi, si influenzano a vicenda e devono essere gestiti come un sistema integrato. È questa la logica con cui affrontiamo ogni progetto: evitare i silos, favorire l’orchestrazione e accompagnare il brand in un percorso che è tanto tecnologico quanto culturale.

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