Nella cornice imbiancata del Palazzo delle Stelline si è svolta, giovedì 1 marzo, la nostra Customer Service Conference, focalizzata sulle relazioni tra aziende e clienti in era digitale. Nonostante la neve molte persone hanno preso parte alla giornata di approfondimento e confronto dedicata a un tema, quello del Customer Service e delle interazioni Human to Human, che si conferma – come rilevato anche dal nostro Osservatorio sulla CX – un fattore su cui si stanno concentrando le attenzioni, l’interesse e gli sforzi di miglioramento della maggior parte delle organizzazioni attive sul mercato. In questa occasione abbiamo deciso di soffermarci e di riflettere sul lato umano della tecnologia e sul potenziamento tecnologico dell’umano, con interventi che non si sono concentrati esclusivamente sugli strumenti attualmente disponibili, ma anche sull’approccio culturale al contatto con il cliente e sulle competenze da sviluppare per preservare la natura personale delle interazioni.
Service transformation: il cliente non cerca più prodotti ma soluzioni
C’è innanzitutto un nuovo concetto con cui le aziende devono familiarizzare, ed è quello di servitizzazione o service transformation: Nicola Saccani, professore dell’Università di Brescia e membro dell’ASAP Service Management Forum, l’ha definita come la capacità di fornire ai clienti non più un semplice prodotto standard, bensì una soluzione personalizzata in grado di rispondere alle loro esigenze. La servitizzazione ha ovviamente trovato nelle tecnologie e nella rivoluzione digitale due catalizzatori non indifferenti – basti pensare alla sharing economy, il cui core business è appunto quello di garantire la piena fruizione di una funzionalità agli utenti – e la sua diffusione sta influenzando e promuovendo la nascita di nuovi modelli di ingaggio del cliente.
“Non stiamo parlando solo di un crescente orientamento al servizio, che sicuramente diventa sempre più una componente intrinseca dell’offerta, ma di un modello di generazione dei ricavi, di un modello operativo dell’azienda che cambia” ha sottolineato Saccani. “Stiamo passando da un modello definito come product focused, cioè focalizzato sul prodotto o servizio che vendiamo, in cui il postvendita è percepito come un male necessario, un obbligo che dobbiamo rispettare per motivi normativi e legali – sostanzialmente una seccatura – a modelli in cui, invece, la componente di servizio diventa importante, in quanto arricchisce l’offerta rispetto alla parte core, garantendo una migliore funzionalità e un’experience più ricca al cliente”.
Tra i principali ostacoli che frenano l’adesione delle aziende a questo cambiamento, Saccani ha indicato i livelli spesso troppo bassi di commitment strategico del top management e l’inadeguatezza della cultura aziendale. Altro scoglio da non sottovalutare è quello delle competenze necessarie per tenere il passo di questa evoluzione, che non si limitano solo a quelle tecniche – i profili professionali attualmente più ricercati sono ovviamente quelli in grado di rispondere all’ormai consolidato focus sui dati, la loro analisi e il loro utilizzo, nonché sulla capacità di tradurli in strumenti efficaci per rendere effettiva la trasformazione richiesta da mercato e clienti – ma comprendono anche soft skills come la capacità di trovare soluzioni creative e di essere orientati al servizio. La stessa Comunità Europea ha recentemente svolto delle indagini per saggiare il terreno delle competenze digitali dei cittadini degli Stati membri: dagli studi è emerso che il 45% della popolazione ha competenze digitali ridotte o assenti, il 40% delle aziende segnala un forte mismatch tra competenze richieste e competenze disponibili, e ancora il 40% delle imprese dichiara di non riuscire a trovare candidati con il profilo adatto. Per quanto riguarda l’Italia, solo il 29% della forza lavoro risulta essere in possesso di un livello di competenze digitali adeguato al ruolo che ricopre, e solo l’8% della forza lavoro è attualmente in formazione.
Customer Service, tutto quello che i clienti vogliono
Se, come dimostrato da Nicola Saccani, un mutamento radicale di ciò che le imprese offrono e delle modalità in cui si propongono sul mercato non è ulteriormente procrastinabile, viene da chiedersi in che modo le aziende che si occupano di garantire le migliori modalità di servizio e di interazione stiano rispondendo alla sfida. La risposta a questa domanda è stata delineata a partire dalle prospettive di aziende come ServiceNow, Zendesk, Salesforce, Spitch, Nuance, Pat, LiveHelp e Almawave, che hanno illustrato l’approccio alla trasformazione a partire dal quale strutturano le loro soluzioni.
Omnicanalità
La prima parola chiave dalla quale non si può prescindere quando si affronta il tema del Customer Service di nuova generazione è sicuramente omnicanalità: l’approccio multichannel non basta più, è richiesta la capacità di garantire sempre e comunque agli utenti un’esperienza seamless e coerente tra canali tradizionali e canali più avanzati. Questa impostazione olistica, inoltre, deve essere estesa anche alla comunicazione interna, perché solo superando i silos è possibile fornire al cliente un’immagine organica dell’intera compagine aziendale: le infrastrutture su cui quest’ultima è fondata devono poter orchestrare e connettere azioni e informazioni proprie dei diversi dipartimenti coinvolti nelle varie attività.
“La cosa più importante è la comunicazione al cliente” ha sottolineato Andrea Ciavarella di ServiceNow. “Spesso essa è affidata esclusivamente al contact center, ma se è un altro dipartimento a risolvere il problema, quest’ultimo potrebbe non sapere da chi proviene la richiesta iniziale, perché questa informazione non fluisce tra i vari sistemi o nelle comunicazioni destrutturate che spesso ci sono nelle aziende”.
A proposito di omnicanalità, e in particolare di ticketing e Customer Care omnichannel, Zendesk ha proposto il caso di Subito.it e del suo Customer Happiness Center, in grado di offrire un supporto a 360 gradi ai clienti, arrivando a registrare livelli di Customer Satisfaction pari al 90%. “Abbiamo tre KPI, sostanzialmente, che misuriamo con Zendesk: il first reply time, la Customer Satisfaction e la first contact resolution. Queste sono le tre macro-aree che guidano il Customer Happiness Center” ha dichiarato Roberto La Rosa, Head of Customer Care di Subito.it.
Automazione, voce del cliente e oggetti intelligenti
Altri due termini sempre più familiari per chi si occupa di Customer Service sono poi intelligenza artificiale e IoT, attraverso i quali sono state introdotte due funzionalità particolarmente utili per distinguersi oggi sul mercato, ovvero proattività e predittività. In relazione agli oggetti intelligenti Domenico Rossi di Salesforce ha inoltre ricordato che “È vero che c’è sempre più una richiesta di connessioni digitali o omnicanali, però è anche vero che nel mondo dell’IoT sempre di più i sistemi diventano dei clienti del Customer Service. Quindi, non è solo la persona che ha una relazione con il Customer Service, ma anche gli oggetti”.
L’intelligenza artificiale è letteralmente dilagata nel settore del servizio al cliente, suscitando sicuramente grande entusiasmo, che troppo spesso però non si è tradotto nella progettazione di servizi e strategie efficaci e vincenti. Secondo una ricerca svolta da Forrester, infatti, nell’ultimo anno il 25% delle aziende ha implementato chatbot e assistenti virtuali per la gestione delle interazioni che hanno frustrato i clienti invece di migliorare il servizio. “Parliamo assolutamente dei clienti al centro, ma dobbiamo anche conoscerli per capire quali processi di automazione e di trasformazione tecnologica possono davvero rispondere alle loro esigenze” ha sottolineato Patrizio Bof di Pat.
Seguendo questa impostazione di pensiero che colloca in primo piano la necessità di avere una chiara visione strategica alla base di ogni processo di implementazione tecnologica, possiamo allora riprendere le parole di Saverio Ricchiuto di Nuance per capire dove ci può condurre l’AI: “Quali possono essere i vantaggi dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale per un’azienda? I pilastri sono i soliti due, da una parte migliorare la Customer Experience e, dall’altra, incrementare le vendite o aumentare il valore della conversione. Quindi io posso utilizzare l’intelligenza artificiale sostanzialmente per fare tre cose: predizione, conversazione e analytics, garantendo così il digital engagement”.
Tra gli esempi citati a tal proposito ricordiamo il caso FedEx, che gestisce il 52% delle interazioni senza l’intervento di operatori umani, e Jetstar, che con il suo assistente virtuale ha incrementato la conversion, migliorato il servizio e ridotto i costi operativi. Partendo dall’ascolto più approfondito della voce del cliente reso possibile dalle tecnologie di analisi del sentiment nel parlato e nelle conversazioni scritte, e passando attraverso livelli più elevati di privacy e sicurezza, si migliorano la qualità delle Customer Operations e la capitalizzazione della conoscenza del cliente. “L’idea fondamentale è che al centro di tutto c’è il contenuto informativo di base, cioè il fatto che il cliente e l’azienda, attraverso il servizio di Customer Care, si dicono delle cose importanti e se le dicono all’interno di uno scenario conversazionale” ha spiegato Raffaella Boldini di Almawave. “Noi parliamo di Conversation in Action, perché la conversazione genera l’azione, lo scambio delle informazioni tra l’operatore e il cliente genera l’intervento. Queste informazioni spesso sono volatili, non vengono catturate da nessuno”.
Tecnologie vocali, messaging e chat
Parlando delle applicazioni dell’intelligenza artificiale non è possibile non soffermarsi sugli assistenti virtuali, e sull’applicazione delle tecnologie vocali, NLP, NLU e biometria vocale. “Con il messaggio vocale, con la tecnologia vocale, è possibile rendere immediate e veloci anche le interazioni solitamente più complesse grazie all’utilizzo del linguaggio naturale, permettendo per esempio al cliente di ottenere un’informazione senza passare attraverso due minuti di IVR” ha spiegato Piergiorgio Vittori di Spitch. Semplificazione, personalizzazione e compliance sono quindi le tre qualità delle tecnologie vocali alle quali va principalmente attribuito il merito della loro diffusione.
Altro strumento sempre più apprezzato da clienti e aziende sono infine le web chat: come rilevato da una recente indagine svolta internamente da Terranova, il 44% dei clienti non avrebbe effettuato un acquisto senza poter contare sul supporto di una chat in grado di fornire risposte adeguate. Una volta implementata una chat è tuttavia importante individuare dei KPI in base ai quali monitorarne le attività, per migliorarle e accrescere il livello di Customer Satisfaction, indicatori che vanno contestualizzati per poter essere effettivamente utili ai fini di una valutazione e di un miglioramento: “Come si fanno a migliorare questi KPI quando non vanno bene? Semplicemente evitando gli errori più comuni, che possono essere individuati provando a usare la chat da cliente. Cioè, usatela da clienti e vedete cosa succede” ha consigliato Alessandro La Ciura di LiveHelp. Tra gli errori più frequenti La Ciura ha indicato quelli strutturali (come la chat ingabbiata nel sito), organizzativi (operatori che non riescono a leggere le risposte fornite dai colleghi) o di comunicazione inadeguata.
Digital Customer Service: i consigli di Paolo Fabrizio
Quindi, provando a riepilogare i trend di trasformazione del Customer Service che contraddistinguono l’oggi e determineranno il domani, si registra la diffusione delle tecnologie vocali, la presenza sempre più massiccia di assistenti virtuali per il Customer Service, l’affermazione del messaging come modalità di contatto prevalente tra aziende e clienti (si prevede che entro il 2018 i brand integreranno WhatsApp come canale di contatto), il caring predittivo e la biometria vocale.
Tanta tecnologia fin qui, ma che fine fanno gli umani? Se è vero che non saranno mai completamente soppiantati dalle nuove soluzioni intelligenti nelle attività, come quelle al servizio del cliente, in cui bisogna garantire un valore aggiunto, quali competenze devono coltivare per essere a prova di digital customer? Sull’argomento è intervenuto, al termine della giornata, Paolo Fabrizio, per fornire ai partecipanti alcuni preziosi consigli mirati a una gestione del digital Customer Service corretta e di successo.
Innanzitutto, la consapevolezza da cui ogni operatore deve sempre prendere le mosse quando si accinge a gestire un reclamo o un’interazione via social network è che sulla piazza digitale ogni aspetto positivo o negativo della comunicazione del brand con la propria Customer Base viene amplificato, e anche quando si risponde a una singola persona ci si sta in realtà rivolgendo a un pubblico decisamente più vasto. Il passaparola – e la sua capacità di influenzare il giudizio di clienti attuali o potenziali – ha raggiunto oggi livelli di potere notevoli, complice anche l’accresciuta volubilità dei consumatori, sempre più noncuranti quando si tratta di accordare la propria preferenza e momentanea fedeltà a un nuovo brand.
Vanno bandite quindi le due principali fonti e cause dei problemi e delle frustrazioni più gravi per gli utenti, ovvero l’assenza di risposta e le risposte inadeguate; altro difetto da debellare assolutamente è quello di non riuscire a permettere al proprio cliente di interagire con l’azienda sul canale da lui scelto, forzandolo a cambiarlo.
Nella gestione del social Customer Service dovrebbero inoltre essere accuratamente evitati l’anonimato e la freddezza, garantendo al contempo tempi di risposta rapidi, capaci di soddisfare clienti sempre più esigenti e impazienti.
Le caratteristiche del perfetto digital Customer Service sono chiare, ma si può dire lo stesso delle caratteristiche che devono contraddistinguere gli operatori incaricati della sua gestione? A tal proposito Paolo Fabrizio si è soffermato a considerare l’opportunità di selezionare internamente gli agenti o affidare ad outsourcers la gestione del social Customer Service, le competenze che devono possedere gli operatori (comunicazione; ascolto; scrittura chiara, sintetica ed esaustiva; intelligenza emotiva; conoscenza delle dinamiche social; comunicazione informale ma professionale; nessuna impulsività), e la formazione da garantire attraverso attività in aula e pratiche, monitoraggio e condivisione delle best practice.
“Il Customer Service digitale oggi inizia anche prima della vendita. Prosegue dopo, ma inizia prima. Non è più un post vendita, ma un ciclo continuo. Ecco perché investire sulle conversazioni digitali ha un senso, sia dal punto di vista del Customer Service che da quello delle attività di marketing” ha concluso Paolo Fabrizio “che vanno a incrociarsi non solo come lasso di tempo, ma come collaborazione, perché non ci sono più delle barriere nette tra Customer Service e marketing. E, in conclusione, vorrei anche sottolineare che la trasparenza, a mio avviso, è oggi una chiave competitiva in più”.
Emma Pisati, CMI Customer Management Insights
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